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venerdì 12 giugno 2009

Intervista su Fumo di China!

Bentornati, pisconauti, e questa volta prima del previsto.

Vi segnalo una buona notizia per la Causa: sul nuovo numero di giugno della rivista Fumo di China, e precisamente il n.171, trovate una corposa intervista al sottoscritto.
Il servizio, curato da Nicola Peruzzi, analizza attentamente la nascita della rivista "Puck!" e mette in luce le oscure macchinazioni che la legano con la precedente "The Artist".

Ecco qui sotto il testo integrale del mio intervento, dato che per motivi logistici la conversazione è stata tagliata e rimontata ad hoc per non sforare negli spazi.

A presto, gente. Nuovi complotti editoriali sono in agguato.

FUMO DI CHINA: Ciao Ivan. Il tuo nome è piuttosto noto nell’ambiente underground del fumetto italiano. Vorresti comunque presentarti ai nostri lettori? Puoi parlarci dei tuoi esordi come fumettista, dalle origini a Puck?

IVAN MANUPPELLI: I miei primissimi lavori li ho fatti proprio per The Artist. Non ero ancora pronto per pubblicare qualcosa da qualche altra parte, e così ho fondato una rivista per usarla come palestra d’ardimento.
Il resto è venuto da sé: ho cercato nuovi collaboratori, tra autori professionisti, amici alle prime armi e artisti di strada. Il primo autore importante a darmi fiducia è stato Fernando Caretta, il re del porno a fumetti, che apposta per noi ha creato una serie di comic strip e realizzato due bellissime copertine. Una in particolare mi colpisce ancora: c’era appena stato l’attentato dell’11 settembre, e ogni luogo pubblico appariva ormai come un potenziale teatro di attentati terroristici. Così Caretta si immaginò l’Uomo di Vitruvio di Leonardo che guardava angosciato (e senza ovviamente potere scappare) una misteriosa valigia ticchettante abbandonata proprio davanti a lui.

È stato divertente quando qualche editore a un certo punto mi ha chiesto di collaborare ad antologie a fumetti, in veste di autore. Fino ad allora mi vedevo semplicemente come il coordinatore di una rivista indipendente. Disegnare su The Artist mi ha permesso di farmi le ossa senza espormi troppo, e questo credo sia un bene.

Invece il mio primo fumetto pubblicato altrove è stato per un giornalino locale. Erano le avventure di Gesù Cristo nella bassa periferia milanese. Tutta la serie giocava su un solo tormentone: nessun miracolo poteva competere con la dura vita dei bassifondi. Gesù Cristo veniva sistematicamente esposto al martirio dalla peggior specie di fauna periferica, con atti di bullismo così atroci da fare invidia alla Passione. La striscia è durata solo 5 numeri, poi mi hanno fatto fuori. Non si scherza con i santi.

FUMO DI CHINA: In occasione del festival bolognese Bilbolbul 2009, hai presentato la tua nuova creazione, Puck, rivista di cui sei “direttore irresponsabile” e autore. Vorresti descriverci questa tua nuova creatura?

IVAN MANUPPELLI:
La migliore presentazione di Puck l’ha scritta Sergio Ponchione: "Dense e nere nubi si stanno addensando qua e là sul globo terracqueo minacciando sfracelli, vitelli e porci a due teste sono stati visti pascolare all'indietro in desolati campi afgani, in uno sperduto villaggio ucraino è nato un bambino con piccole ali da pipistrello anche se non lo dice nessuno, e i fiumi sono in piena anche se non lo dice Battiato. Ma soprattutto, in un piccolo cimitero presso Rozzano (MI), a un salto di tarma dalla casa di Ivan Manuppelli, la putrida mano di un nano è emersa sotto la luna dal terreno di una tomba da cui tutti stanno alla larga. "Qui giace THE ARTIST, gloriosa rivista che fu, che prima o poi tornerà in altre vesti per darvi di più" recita la polverosa effigie.”

FUMO DI CHINA: La gestazione per la creazione di Puck è stata decisamente laboriosa. Quali e quante sono state le difficoltà in fase di lavorazione?

IVAN MANUPPELLI: Dietro a “Puck!” c’era la maledizione.

Come puoi notare da te, se lo confronti ai precedenti numeri di The Artist, “PUCK!” è una specie di piccolo kolossal: 180 pagine, una sessantina di autori, e 24 pagine a colori. Questo perché era prevista una finanziatrice, dietro a tutta questa operazione. E questa persona, come nei migliori film, se ne è scappata nel momento di pagare il tipografo!
Questa è stata la causa principale dei ritardi, e del mio primo indebitamento a soli 24 anni.
Ci sono state delle giornate in cui non sapevo più dove sbattere la testa, in cui avevo paura di avere buttato via due anni di lavoro, e di preziose collaborazioni, in un progetto che non avrebbe mai visto la luce. È stato abbastanza frustrante. Ho fatto qualche lavoro di ripiego, e sono ricorso al voodoo per lanciare salutari maledizioni a chi di dovere. Ma alla fine le persone più care mi hanno dato una mano, e tra queste il tipografo (molto più vicino alla Causa di tanti presunti editori) che mi ha fatto credito. Roba che al giorno d’oggi non succede neanche nei film della Disney.

Ma “PUCK!”, a parte tutto, avrebbe richiesto comunque molto tempo. Solo l’omaggio a Osvaldo Cavandoli, che ospita 30 autori e i loro rispettivi personaggi, si è mangiato mesi interi di lavoro. Io, Emanuele Fossati e Piero Tonin, i creatori della storia, abbiamo passato delle nottate a impaginare, ritoccare, rifare delle vignette completamente da capo. È stato un lavoro da psicopatici, coordinare tutta questa mole di disegni.

FUMO DI CHINA: Puck segue le orme e per certi versi sostituisce la tua precedente creazione, il magazine The Artist. Quali sono le differenze tra le due riviste, e perché hai sentito la necessità di passare da The Artist a Puck?

IVAN MANUPPELLI: “Puck!” ha più pagine, più autori, e forse anche un po’ più di ordine. E poi il nuovo nome suona meglio, quasi come un pugno nello stomaco: “puck!”

FUMO DI CHINA: Con Puck sei riuscito – seguendo un percorso del tutto coerente con la precedente The Artist – a mettere insieme il gotha del fumetto underground e mainstream italiano e non solo. Sergio Ponchione, Hunt Emerson, Aleksandar Zograf, Giuseppe Palumbo, Maurizio Rosenzweig, Alberto Ponticelli, Federico Sfascia e Massimo Semerano sono solo alcuni dei nomi coinvolti in questo primo numero. Qual è esattamente il progetto a lungo termine di Puck, e come sei riuscito a coinvolgere tutti questi artisti?

IVAN MANUPPELLI: Gran parte di questi artisti li conosco già da un pezzo, proprio grazie alle precedenti collaborazioni con The Artist. Quindi è stato abbastanza facile mettere assieme questo super gruppo di autori, più qualche nuova aggiunta che ci voleva. Ad esempio lo scrittore Joe R. Lansdale, o Jay Kinney e le sue meditazioni mistiche. Anche Giuseppe Palumbo collabora qui con noi per la prima volta, prestando alla Causa i suoi personaggi alla Buster Keaton. E poi ho voluto a tutti i costi una rubrica della posta, per affidarla al Dottor Pira. Quell’uomo ha con sé le risposte ai grandi quesiti dell’umanità.

Non so ancora quale sia il futuro di Puck, né se si tratta di un progetto a lungo termine. Magari è soltanto un altro dannatissimo Co Co Pro! La cosa certa è che ho già gran parte del numero 2 pronto e finito. Ho una nuova storia di Ponchione, bellissima, la copertina di Hunt Emerson, e persino un disegnatore argentino che in vita sua ha fatto un solo fumetto e poi ha abbandonato la carriera.
E poi ci saranno altri autori famosi a sorpresa, che di solito hanno un approccio narrativo diverso da quello che vedrete su Puck.

FUMO DI CHINA: All’interno della rivista unisci, in un mix ancora inedito – se non consideriamo la precedente The Artist – una parte prettamente fumettistica ad una parte che si occupa più di evidenziare i “dietro le quinte” del mondo del fumetto e non solo, per mezzo di interviste, segnalazioni, articoli e speciali che rendono la rivista davvero unica nel suo genere, con quella impostazione (grafica e filosofica) un po’ retro e lo sguardo orientato al fumetto italiano per così dire “nascosto”…

IVAN MANUPPELLI: Credo che la svolta ci sia stata con The Artist#4, quello con la copertina di Paolo Bacilieri. È da quel numero che ho deciso di unire il nostro gruppo di autori italiani con i cartoonist inglesi e americani che hanno animato la scena degli Underground Comix. Avvicinarmi a questa corrente passata, ma che tuttora esercita una forte influenza sui nuovi autori, è stata una fortuna. Foolbert Sturgeon, Hunt Emerson, Robert Armstrong, Ted Richard, Gilbert Shelton, Dan O’Neill, John Pound, Bill Griffith...hanno completamente cambiato l’immagine della rivista, lasciandomi i diritti per i loro fumetti o realizzando storie nuove apposta per l’occasione. Sono contento che la mia rivista sia diventata un ponte tra due mondi lontani. E credo che molti autori nuovi si siano uniti al giro proprio per questo.
E poi ci sono le rubriche affidate agli artisti di strada, una cosa a cui tengo moltissimo: il cantastorie Franco Trincale, il burattinaio trotzkista Adrian Bandirali, il genio dissacrante del compianto Filippo Auti. Loro costituiscono la sezione più pittoresca della redazione, il dipartimento della corte dei miracoli. E ammiro molto quello che hanno fatto.

FUMO DI CHINA: Cos’altro possiamo aspettarci dai prossimi numeri di Puck?

IVAN MANUPPELLI: Per ora posso darti solo due anticipazioni. La prima è che Tuxedo Jack, il noto viaggiatore dello spazio, non risolverà i suoi problemi gastrointestinali. La seconda è che Hunt Emerson ha già disegnato la copertina. Una sera mi ha inviato una bella email in cui mi diceva che era tornato a casa dopo un concerto di Kanda Bongo Man, ed era così sbronzo che si è messo a disegnare la più contorta copertina che gli venisse in mente. Quell’uomo sa come farmi commuovere.

FUMO DI CHINA: Come vedi il fumetto indipendente italiano, anche e soprattutto rispetto a quello del resto del mondo? Mi pare che ultimamente, a parte alcuni nomi noti che continuano imperterriti a portare avanti la loro visione assolutamente indipendente (mi viene in mente Dave Sim e il suo Glamourpuss, per fare un esempio, ma anche Millionaire o Burns), molti degli indie cartoonists tendano ad abbandonare la scena a favore delle major. Quanto è diversa da noi la situazione?

IVAN MANUPPELLI: Credo che tutta la situazione italiana sia qualcosa di grottesco. E strettamente collegata alla politica, che oramai controlla anche tutto l’intrattenimento, in maniera più o meno subdola. D’altronde se una delle principali case editrici (che a sua volta ne gestisce tante altre) è affidata alla figlia del Presidente del Consiglio, che non ha la minima esperienza artistica e professionale nel campo, capisci da te quanto il problema sia molto più vasto per mettersi a parlare di indie o major. C’è tutta una politica editoriale che faccio fatica a comprendere, visto che oggi in Italia gli autori non mancano, sono tanti e hanno idee da vendere. Ma se dietro non ci sono degli editori che rischiano, si divertono, e propongono qualcosa di nuovo, anche un talento come Andrea Pazienza farebbe fatica a decollare e si demotiverebbe. E magari lavorerebbe con un contratto a progetto in un Mac Donald’s. A un autore devi dare la possibilità di crescere, e di pubblicare su una rivista contenitore che gli permetta di confrontarsi con il pubblico continuamente. Perché certe iniziative hanno anche una certa responsabilità, potrebbero creare una linfa nuova. Oggi in edicola riesci a trovare una nuova rivista contenitore di fumetti? Una nuova Eureka, Totem o Alter Alter? No. Però ci sono le ennesime ristampe di autori che sono morti da anni. Una grossa fetta dell’editoria di fumetti fondata sulle avanguardie di trent’anni fa, su gente che non c’è più. Se ci fosse stato lo stesso clima anche allora, oggi non avremmo Magnus, Pazienza, Bonvi, Pratt e gran parte dei personaggi che ci hanno reso famosi nel mondo. Magari avremmo il Signor Bonaventura. Non fraintendermi, è bello riproporre i classici ai lettori più giovani. Ma non c’è solo questo, ci vogliono anche le voci della nuova generazione. Ed è triste che l’unica speranza per un autore sia quella di diventare famoso dopo la morte, perché non c’è neanche la certezza che tu possa spassartela dall’Alto e goderti la scena con qualche amica.
Ed è normale che in una situazione del genere, per un semplice istinto di sopravvivenza, alcuni degli autori più brillanti inizino a disegnare prevalentemente per le major. Così come è normale che, mancando dei grossi editori in grado di rischiare, non ci sia più neanche una scena indipendente stabile.
Le nostre realtà, come quella di “PUCK!”, sono realtà piccole. Fatte di piccole tirature, che per quanto pubblicizzate arrivano soltanto ad una nicchia ristretta di persone. E non per scelta.

FUMO DI CHINA: Quali sono le tue influenze come autore e come direttore di rivista? Se come autore è abbastanza intuibile un approccio che parte da Crumb per arrivare alla “usual gang of idiots” di Mad, è già più difficile immaginare quali siano le tue ispirazioni come creatore di un’antologica unica nel suo genere in Italia.

IVAN MANUPPELLI: Robert Crumb,! È grazie a lui che ho ricominciato a disegnare fumetti, a capire che l’approccio poteva essere più viscerale e arrabbiato. Visionario, ma allo stesso tempo strettamente legato al sociale. Credo che questa cosa derivi un po’ anche dalla sua passione per il blues: mandare a fare in culo la tecnica, e ascoltare solo quello che ti passa per il cervello. Per poi accorgersi, per assurdo, di avere acquisito una straordinaria capacità tecnica in alcuni specifici contesti, ed essere così personali da creare una vera e propria scuola di stile.
Dei disegnatori del gruppo di Mad Magazine, tutti spettacolari, ho un debole per Jack Davis, Basil Wolverton e Bill Elder. Tengo sempre qualcosa di Bill Elder sul mio tavolo da disegno, è una sorta di nume tutelare per me. È Dio. Riesce ad avere un segno sporco, dettagliato e allo stesso tempo molto chiaro e pulito. Ci sono alcune sue inquadrature, e soluzioni grafiche, che oramai ho imparato a memoria, nella mia ossessione. Elder se ne è andato l’anno scorso, di Parkinson. Una delle mani più ferme e precise che siano mai esistite.
Ma mi piacciono moltissimo anche Jacovitti, Pazienza, Magnus, Bonvi, Bacilieri, Ponchione, Rosenzweig, Bonfatti, John Krickfalusi, Kaz, Hunt Emerson, il pittore Filippo Auti e tutte le copertine realizzate da Luigi Corteggi per la Corno.
Come direttori di riviste, i miei modelli sono Harvey Kurtzman, Richard Warren di Creepy, Stefano Tamburini e Vincenzo Sparagna. Anche Max Bunker dei primi Eureka ha fatto delle cose bellissime, a mio avviso. E pure Carlo Peroni quando dirigeva Psyco. E Max Capa con Puzz. Preferisco l’approccio di quelle riviste che non si pigliano sul serio. La più pura anarchia.

FUMO DI CHINA: Oltre ad essere un fumettista, sei anche un musicista. Quanto è importante la musica nel tuo lavoro, e come si interseca con i tuoi fumetti e con Puck in particolare?

IVAN MANUPPELLI: Suono il basso e l’armonica a bocca nella mia band, gli Hamelin. Quello che non riesco a raccontare nei miei fumetti cerco di raccontarlo nelle canzoni, scrivendo i testi. Omsharan Salafia scrive tutte le musiche, e Francesca Tuzzi (che ha una voce spettacolare) presta la sua preziosa ugola ai nostri pezzi.
È divertente dividersi tra due realtà così diverse tra loro come il fumetto e la musica. Se dovessi passare tutto il resto della mia vita su un tavolo da disegno, o davanti a un computer a progettare il nuovo numero di “PUCK!”, credo che mi trasformerei come in Shining. Purtroppo non ho tutta questa pazienza. Ma anche fare concerti fino alle due di notte, con le relative sbronze- prima, dopo o durante- e la ragazza di turno che ti scarrozza fino sotto casa, alla lunga mi fanno pensare al rovescio della medaglia. Alla fine ho bisogno di starmene tra due realtà distinte, che si compensano e si sopportano. Come lo Yin e lo Yang. La moglie che ti da attenzioni e l’amante che te le fa dimenticare. Poi, il fatto che nessuna delle due esperienze mi porti un soldo bucato è tutto un altro bel casino da risolvere.

FUMO DI CHINA:
Com’è distribuita Puck? Com’è possibile reperire la rivista al di là delle fiere?

IVAN MANUPPELLI:
Scrivetemi qui: lagoladipuck@email.it .
E per ogni copia venduta, il sottoscritto scalerà un gradino nella piramide sociale.

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