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Oggi mi sono svegliato con la brutta notizia della scomparsa di Jack Davis, il mio autore preferito di sempre. Aveva 91 anni ed era una leggenda.
Da Davis ho rubato tutto: gli sguardi allucinati dei personaggi, gli scenari metropolitani desolati, le ombre che si allungano sui muri di mattoni e sulle facce inquietate, persino i trattini di terriccio sporco che trovo tuttora l’ambientazione ideale per quasi tutte le mie storie.
Ho avuto la fortuna di scoprire il suo lavoro da giovanissimo e per caso, comprando in edicola una copia de I Classici del Terrore, una versione italiana degli EC Comics con alcune delle storie tradotte e curate da Ferruccio Alessandri. Avevo 8 anni e quelle storie da allora me le sarò rilette migliaia di volte: non erano semplici racconti di paura, c’era tutto un mondo dietro quei disegni che me li faceva guardare e riguardare mille volte. Mi inquietavano ma mi attraevano. Un rapporto perfetto.
Di Jack Davis ho amato sempre il suo modo geniale di mischiare il macabro al satirico. Lo faceva in un modo tutto suo, senza togliere nulla a nessuna delle due parti. Spesso un autore quando deve affrontare la parodia di una storia horror ricorre a vecchi trucchi del mestiere, sempre efficaci, come accentuare le componenti umoristiche. Ma Davis non risparmiava nulla al macabro: disegnava uno zombie spettacolare, con tutte le carni putrefatte al posto giusto, e poi alla fine ci aggiungeva un papillon o un piccolo dettaglio decontestualizzante che sdrammatizzava tutto. Non è un caso che lo usassero quasi sempre per i siparietti comici a inizio e fine storia: in Tales from the Crypt e poi con Uncle Creepy.
Da piccolo ho passato tantissime ore a riguardarmi quelle microscopiche vignette. Dietro a una tavola di Jack Davis puoi trovare un immaginario vastissimo: l’ironia di Edgar Alla Poe, i poveracci disperati alla Steinbeck, i B Movies, Bela Lugosi e Boris Karloff, la paranoia delle invasioni aliene. Lui shakerava tutto e te lo restituiva così, con un immaginario tutto suo.
Nel gruppo EC si definiva il più campagnolo di tutti: i suoi mostri non erano così elaborati come quelli di Wolverton, non era inquietante come Ghastly e le sue gag visive non erano così strabordanti e jacovittiane come quelle di Bill Elder o imprevedibili come Kurtzman. Ma se ti serviva una storia sulla Grande Depressione, sul tormento psicologico dei soldati in trincea, o sull’angoscia di due vecchi compari che seppelliscono per scherzo un amico e poi lo trovano morto davvero…beh, Jack Davis era proprio l’uomo giusto!
C’è una vignetta in particolare di Davis, che posto qui, che mi ha influenzato più di tutte le altre. Era l’apertura di una storia stupenda su un taxista ossessionato dai vampiri. Tutte quelle storie iniziavano e finivano con battutacce di humour nero, ma la cosa bellissima era osservare tutti i particolari di quelle scene: come era arredata la cripta di Zio Tibia, ad esempio, e quanti mostriciattoli erano venuti a trovarlo, e quali erano le sue letture preferite o come era costruito il suo scarno arredamento. L’orrenda ospite di questa vignetta, assieme ad altre influenze mischiate tra loro (i poveracci di Magnus & Bunker su tutti) sarebbe diventata una delle influenze per la creazione del personaggio di Puck.
Per dirvi quanto è stato importante per me, il vecchio Jack.
Tanti anni fa, nel 2004, chiesi a un altro grandissimo autore (quello che me lo ricordava di più) di omaggiare Jack Davis e Creepy nella copertina dello speciale horror Creepartist. L’artista era Carlo Peroni, il sommo Perogatt.
Chiudo con questo ricordo il mio doveroso omaggio a uno dei più grandi artisti del fumetto mondiale. Nel 2010-2011 preso da un delirio di onnipotenza necessario cercai disperatamente di coinvolgere Jack Davis in Puck Comic Party. Sapevo che era impossibile ma ci provai lo stesso. Chiesi la sua email a Tom Bunk e poi al suo amico di sempre Al Jaffee (entrambi erano già stati coinvolti nel progetto) ma niente da fare. Mi diedero una email ma mi tornava sempre indietro, neanche loro lo sentivano così spesso.
Non so come ma trovai anche un numero di telefono (forse me lo diede proprio Jaffee) e allora una sera andai in uno di quei posti gestiti da indiani dove si fanno telefonate all’estero, con la mia ragazza dell’epoca che parlava benissimo inglese a differenza mia…ma anche in questo caso un buco nell’acqua. Al telefono non rispondeva nessuno.
Alla fine sentii Chery Leavy di Bulldawg Illustrated, perché a quel tempo Davis si era praticamente ritirato e disegnava solo per il football americano della Georgia. Fu Cheri a mettermi direttamente in contatto con lui, che non appena vide la rivista rispose prontamente: “Dear PUCK, THANK YOU FOR YOUR INTEREST IN ME. I’m a 86 year old conservative old man, your mag seems pretty wild for me. thanks anyway!!! Jack Davis!”
Che cosa potevo fare? Alla fine provai, senza neanche più crederci troppo, a chiedergli una versione del mio personaggio Puck da pubblicare sul prossimo numero Apuckalypse. Bisogna sempre avere un piano B. E cosa incredibile mi rispose all’istante. “Ivan, please send your address. Jack Davis”. E dopo pochi giorni mi arrivò questo splendido disegno direttamente dalla Georgia, superando ogni barriera spazio temporale immaginabile.
Perché se il segno non fosse così inconfondibile avrei davvero grandissime difficoltà a credere che una star americana del fumetto anni ’50-’60 (uno che influenzò gli autori storici di underground comix quando erano ancora ragazzini, per dire) abbia anche solo pensato di spedirmi un disegno originale diretto a Rozzano nel 2011.
È una delle cose più preziose che ho, se e mai un giorno dovessi avere una redazione seria lo incornicerò nella stanza più importante, quella delle idee. Come dire? È come se una rock band emergente avesse un assolo inedito di Chuck Berry nel nuovo album. Stupendo e paranormale. Buon viaggio nella nuova dimensione, Jack Davis! E grazie per tutto quanto.
Great show, i loved that show.
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