sabato 24 ottobre 2009

Intervista a fumetti a FRANCO TRINCALE!

Bentornati.
Questa che vedete qui sopra è l'intervista a fumetti a Franco Trincale, in uscita oggi in tutte le edicole sul quotidiano Liberazione, all'interno dell'inserto satirico Frigidaire #218 e alla modica cifra di 1 euro!
Qui sotto, invece, in esclusiva per i lettori di "Processate le Visioni", la VERSIONE INTEGRALE dell'intervista.

Per maggiori informazioni su Franco: www.trincale.com/ e trincale.splinder.com

INTERVISTA A FRANCO TRINCALE
(realizzata giovedì 15 ottobre 2009)

PUCK: Bene, Franco. Partiamo dalle origini. Le tue prime ballate non erano politiche, avevano un approccio diverso. Di che cosa trattavano queste canzoni, e come è nato il tuo impegno politico?

FRANCO TRINCALE: Andavo a scuola elementare con Pippo Baudo, che suonava l’organo. Il nostro insegnante era un prete, ma bravo. E io cantavo nelle chiese, con Pippo Baudo che mi accompagnava all’organo. Poi andavo a cantare anche dal barbiere, per intrattenere i clienti, perché allora funzionava così. Mio padre era già tesserato comunista, ma le mie prime esperienze canore erano lontane dall’impegno politico. Sì, cantavo Bandiera Rossa, ma non era la stessa cosa.
Fino a quando mi venne la voglia di scrivere qualche canzone sull’emigrazione verso il nord, come quella della moglie siciliana che parte per lavorare a Milano, nonostante il marito geloso, e poi torna in paese: si intitola “L’aria milanisa”…Era una ballata ironica, con molti doppi senso, che divertiva molto la gente.
Ma io inizialmente non pensavo di fare il cantante come mestiere, ma di imparare l’arte del barbiere o andarmene volontario in marina. E per farla breve a 16 anni mi arruolai in marina, e anche lì continuai a cantare. Però iniziavo già a capire la situazione sociale.
Pensa che una volta, a Brindisi, ero di guardia notturna alla nave. Non mi dimenticherò mai questo fatto. Eravamo in due a fare il turno, io e un altro piantone, e sapevo che in città c’era la “Festa dell’Unità”. Allora mi misi d’accordo con l’altra guardia per andarci. E quando vidi la piazza,e il palco con gli artisti che cantavano, mi venne una gran voglia di cantare. Mi ricordo che cantai una cosa come “O’sole mio”, niente di particolare. Arrivò la ronda dell’esercito, che mi scoprì, e mi fece rientrare punendomi con 21 giorni di “prigione di rigore”.
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Inizialmente, la mia era solo passione per il canto. L’interesse politico maturò successivamente, quando lasciai la marina a 21 anni e mi sposai, e scelsi di fare il cantastorie. E cominciai a cantare le prime canzonette e a stampare i foglietti con i testi. Ma man mano che osservavo certe situazioni maturava in me un certo interesse politico e sociale.
Una delle mie prime ballate impegnate fu “Cantata di lupara”. Come sai, la lupara è il classico fucile siciliano adoperato dalla mafia…ora la lupara ha ceduto il posto al mitra, al tritolo: anche la mafia si adatta all’evoluzione (ride)…
“Cantata di lupara” trattava l’uccisione del sindacalista Salvatore Carnevale, durante l’occupazione delle terre. Era il ’47, il periodo della strage di Portella della Ginestra, durante la lotta dell’occupazione delle terre, quando si uccidevano i sindacalisti per scoraggiarli…

(Franco si mette a cantare, accompagnandosi con l'immancabile chitarra)

Ha cantato la lupara
n'altro morto ieri sira
era un gran lavuraturi
si chiamava Salvaturi.
Sutta un alberu agghiurnavu
come fossi che dormiva
nveci è stato assassinato
con due colpi di lupara.

La maturazione politica arrivò poco per volta, quando tornai dalla marina e dovetti scegliermi un lavoro. Il mestiere del barbiere non l’avevo imparato bene, e mi trovavo costretto a scegliere tra l’esperienza militare e quella di cantante. Tra la mitraglia e la chitarra, scelsi l’arma più democratica.
Iniziai ad avvicinarmi alle fabbriche, e a suonare per gli operai, come quelli dell’Alfa Romeo, durante le loro pause pranzo all’aperto. E piano piano iniziò a instaurarsi un rapporto con loro, che mi raccontavano le loro esperienze e i loro problemi, molti dei quali li vivevo sulla mia pelle, come la difficoltà nel trovare casa, o l’emigrazione verso il nord. E iniziai a inserire queste tematiche nelle mie canzoni.


PUCK: Ho rispolverato alcune tue vecchie ballate degli anni ’60, incise sotto etichetta discografica, e ho notato una diversità negli arrangiamenti.
Mi vengono in mente la chitarra solista nei due lati del 45 giri de
“La Tragedia dei Kennedy”, o la fisarmonica ne “La tragedia di Milena”.
Questa scelta di aggiungere strumenti di accompagnamento rispetto alla tradizionale voce/chitarra era una imposizione delle etichette discografiche, che non volevano un suono troppo scarno, o era la tua volontà artistica dell’epoca?

FRANCO TRINCALE: Quando venni a Milano, oltre a respirare il clima delle lotte operaie, mi avvicinai anche al mondo discografico con il mercato delle canzonette.
E fu proprio in uno dei miei incontri con gli operai che conobbi un cantante ambulante che vendeva le sue registrazioni su 45 giri di vinile. Ed erano dischi marchiati Fonola. Perché devi sapere che c’erano due “Fonola”: la "Phonola", con “ph”, che faceva le radio, e la “Fonola”, con la “f”, che si occupava delle canzonette. Il padrone della Fonola aveva escogitato questo trucco di fare uscire i dischi con le canzoni dei cantanti di San Remo, ma cantate da delle imitazioni dei cantanti originali.
Questo cantante ambulante mi disse che alla Fonola prendevano anche cantanti di strada, e così mi portò e mi fece conoscere al direttore, ed io gli piacqui e mi fece incidere la canzone “Uè, paesano”.

"Uè paisano" era il prototipo della canzone un po’ patetica, populista, che in America riscosse un grande successo grazie a un cantante italoamericano che si chiamava Nicola Paone. In America c’erano già le radio libere, e c’era tutto un sottomercato di canzoni alimentato da queste radio. I miei dischi vendevano bene in questo sottomercato americano, dove ero conosciuto.
Inizialmente non depositavo le mie canzoni, ma mi pagavano subito e finiva lì.
La Fonola aveva capito che potevo rendere bene economicamente, tant’è che quando mi chiamò una casa discografica concorrente della Fonola e mi propose un contratto, ed io parlai di questa questione con il direttore della Fonola stessa, lui pur di tenermi con sè me ne offrì il doppio.
Per la prima volta nella vita potei permettermi di comprare una lavatrice e pagare l’affitto.
Quando diventai più politicizzato, e alla Fonola questo aspetto interessava meno, io proposi questo compromesso: avrei comunque inciso le loro canzoni popolari, che gli avrebbero portato delle entrate economiche, ma a patto di pubblicare i miei dischi con le canzoni politiche.

Il direttore della Fonola chiamava gli orchestrali per arricchire, per rendere più fruibile l’operazione. Per questo che anche i miei primi pezzi politici incisi hanno degli arrangiamenti meno scarni, e ci sono ad esempio le fisarmoniche.
Il proprietario della Fonola era una persona onesta, il classico milanese dal cuore buono, e quando mi propose il rinnovo del contratto io gli controproposi di farmi dare un appartamento che all’epoca costava 7 milioni e 250 lire. Lui avrebbe comprato l’appartamento,e io gliel’avrei pagato nel tempo di 5 anni incidendo le mie canzoni. Per rispettare il patto al più presto soddisfai l’accordo nel giro di soli 3 anni, perché incidevo 5 o 6 canzoni al giorno! (ride). Non tutte erano delle ciambelle col buco, ma molti di quei pezzi vendettero molto in America, e fruttarono parecchio alla Fonola…
Comunque, tornando al discorso degli arrangiamenti, come tu sai non sempre un cantante che si accompagna con la chitarra rispetta il ritmo e la metrica. E questo era un casino, per chi doveva accompagnarmi. Per questo che suggerii di fare incidere prima gli orchestrali, e poi di registrare la mia voce e la mia chitarra sulla base.
Ma fai bene a sottolineare questo aspetto, perché molti vedono la mia scelta politica come qualcosa di opportunistico, come se mi fossi voluto appoggiare al PCI. Col cazzo! È il PCI che si è appoggiato a me (ride), perché io sono andato anche all’estero a fare campagna elettorale per loro. Ho tenuto legami con Enrico Berlinguer, ci siamo scritti e incontrati più volte. Berlinguer era un grand’uomo dal punto di vista dell’onestà, veramente, lui secondo me è morto proprio per fare politica. Se vedessi le fatiche che faceva.

PUCK: E' difficile immaginarsi una nuova personalità politica con lo stesso carisma di Berlinguer?

FRANCO TRINCALE: Non c'è un nuovo Berlinguer, perché non c’è nel contesto della società. La società ha degenerato il sociale., e da quel sociale nasce il politico. Se il sociale è inquinato, la politica è più inquinata ancora.
La politica corre sempre. Perché chi anticipa il cambiamento della società sono i cambiamenti del progresso tecnologico, e la società si trasforma generazionalmente. La politica sotto questa ottica non è altro che la frizione di un motore. Se guardi alla nascita del PD e all’attualità dei segretari, c’è sempre una situazione precaria. Non voglio tornare all’antica, ma se un partito è strutturato, e c’ha i suoi iscritti che lo eleggono, alla fine se è un partito che ci sa fare avrà i suoi simpatizzanti.
Ma il PD sembra essere perennemente nella fase di ricostruzione di un partito. Dopo le primarie vedremo davvero se l’accordo tra i tre candidati porterà a un programma unico, che dovrebbe essere di opposizione.

PUCK: Come vedi il movimento di Grillo?

FRANCO TRINCALE: Sinceramente io diffido da una situazione che nasce dal trascinamento populistico dell’artista. Io non mi reputo un artista, perché sono solo un uomo che canta e che ha maturato certe idee. E spesso il mio percorso si può identificare con certe idee di partito. Sono conscio di questo, e accetto anche di diventarne strumento, ma con il rischio poi di dovere accettare certi compromessi. Che se non accetti vieni tagliato fuori, ed è per questo che mi hanno fatto uscire dal PCI. C’erano certi compagni che telefonavano alla federazione e mi sconsigliavano: dicevano che ero brigatista, o addirittura fascista.

PUCK: Ti eri reso conto che il partito andava al di là degli interessi degli operai, e del suo potenziale elettorato…

FRANCO TRINCALE: Il problema era questo: se tu sei un militante devi rispettare lo statuto del partito. Ma un militante che è anche un artista, che sia un artista visivo o musicale o di poesia, e che porta consensi e che aiuta la lotta, va bene solo finchè è in linea con la politica del partito stesso.
Quando cominciai a partecipare alle lotte di movimento popolare, che nascevano spontanee e non erano più inquadrate in un discorso di sindacato o di partito, allora iniziarono i problemi.
Cominciò a crearsi un movimento autonomo, di operai e studenti, e non potevo non rendermi partecipe. E questo non per una mia semplice esigenza etica, ma proprio perché era la mia stessa coscienza a impormi questa mia partecipazione. Mi ribolliva il sangue.


Era il periodo dell’occupazione delle case, e c’era il caso clamoroso dell’occupazione in Via Tibaldi. In quella zona abbatterono delle case minime, dove vivevano gli operai, con la promessa di risistemarle e destinarle sempre ai lavoratori. Ma questa promessa non fu mantenuta, e le case vennero assegnate alla burocrazia comunale.
C’era quindi questo movimento per il diritto alla casa, e le case vennero occupate. E io supportai la lotta, cantando giorno e notte per gli occupanti.
Fino a quando venne autorizzato l’intervento della polizia, che caricò gli occupanti e, fatto gravissimo, un bambino (Massimiliano Ferretti, ndr) morì negli scontri.
Io scrissi per l’occasione questa ballata, te l’accenno:

“O compagno, lo sai che oggi
In Via Tibaldi, la polizia
Padri e bimbi ha cacciato via
Dalle case popolari
Quelle case che il comune
Costruisce ma non da
Alla gente proletaria
Che quelle case han fabbricà"


Io vivevo la lotta, non solo cantando, ma la vivevo incarnata. All’indomani della carica della polizia, e di questi fatti gravi, si tenne un'assemblea al Politecnico. Era una assemblea organizzata dal movimento, e non era vista bene dai partiti. Per questo che scrissi una lettera a Berlinguer, dicendogli che un partito come il PCI non poteva non accogliere e condividere la lotta per il diritto alla casa.
La prima cosa che fece il funzionario Zanchi del PCI fu quella di mettermi in cattiva luce con Berlinguer.
Poi, quando intervenni all’assemblea, mi dichiarai fuori dal partito. Perché non potevo accettare di essere tesserato a un partito che non condivideva queste lotte. Non mi sentivo più rappresentato da nessun partito, se non dalla gente che lottava. Sai che cosa è successo? Mentre Il Manifesto pubblicò la notizia com’era, cioè che consegnai la tessera, L’Unità scrisse che la tessera invece la stracciai. È stata data una notizia fuorviante, per mettermi in cattiva luce.
Quindi faccio un appello pubblico: se qualcuno per caso l’ha conservata, questa tessera, che la tiri fuori!
Sulla mia coscienza posso giurarti (anche se io non amo fare i giuramenti, li fa anche Berlusconi, quindi sai che cosa cazzo vuoi che contano) che non stracciai nessuna tessera. Hanno cercato di dare al mio atto un significato diverso, perché nella realtà avevo rispetto del partito ma non mi sentivo più rappresentato.

Io ho sempre cantato dei disoccupati, delle lotte nelle fabbriche, della cariche della polizia. Sono quelli del partito che hanno trovato nelle mie canzoni una linea comune con i loro valori. Ma io ho sempre proseguito per la mia strada, e poi a un certo punto la mia linea non gli è più andata bene.

PUCK: Hai sempre sottolineato la diversità tra cantautore e cantastorie. In cosa consistono queste differenze? Anche il cantastorie Cicciu Busacca sottolineava spesso questa diversità tra i due ruoli.

FRANCO TRINCALE: Busacca, che oggi non c’è più, era l’originalità del cantastorie epocale che i tempi richiedevano. Lui era molto più anziano di me e diciamo che, se si può parlare di “scuola di cantastorie”, io ho iniziato una nuovo approccio più al passo coi tempi, che non erano più quelli di Busacca. Busacca, pur essendo molto bravo, era diventato più inattivo, e la colpa di questo ce l’ha in parte Dario Fo, perché con la sua proposta di collaborazione nei teatri (lo spettaccolo "Ci ragiono e canto", ndr) gli ha fatto lasciare la piazza in un momento in cui lui poteva ancora restarci, dato che la piazza accettava ancora generazionalmente il ruolo di cantastorie che lui era.
Busacca arrivava nella piazza e riusciva a tenere centinaia e centinaia di persone, ed era quella generazione del cambiamento tecnologico di cui ti parlavo prima. Eravamo al massimo all’invenzione del disco in vinile, e Busacca fu uno dei primi a vendere in piazza i dischi in vinile, quelli della storia del bandito Giuliano, scritti dal grande poeta Ignazio Butitta.


Una volta io e Busacca ci trovavamo a Torino. Non ricordo gli anni, ma fu l’ultima volta che io lo vidi, in occasione di una manifestazione dedicata a Garibaldi. Io feci una ballata dove facevo presente che Garibaldi massacrò a Bronte i picciotti siciliani, e ci fu una vera strage capeggiata da Nino Bixio. In questa versione presentai il Garibaldi mio, e si aprì una polemica tra me e lui. Lui mi diceva che ero un cantante, non un cantastorie. Perché cantavo come un cantante moderno, avevo dei tempi diversi rispetto a lui. Ma io non potevo, a Milano, cantare in un’ora una storia soltanto, perché non funzionava più, e c’era il rischio di non essere ascoltati. Lui mi definiva un cantante con la bella voce.
Ma come fai a Milano, a intrattenere la gente raccontando delle storie così lunghe?Poi, a sua volta, questa è stata la mia polemica tra la mia figura di cantastorie e quella dei cantautori che spesso si definiscono cantastorie. Perché io il ruolo di cantastorie vero lo riconosco solo a Fabrizio De Andrè.
Poi, tra l’altro, il cantastorie non è solo l’approccio artistico, ma un mestiere vero e proprio, con le sue sofferenze nella strada. Non come un altro mio amico, bravissimo, che si chiama Mauro Geraci che fa per professione il professore universitario ed è anche cantastorie. Non soffre come un cantastorie di strada che deve acchiappare il pubblico, magari costringendosi a cantare “O’ sole mio”.
Io i cantautori li chiamo cantastorie laureati. E mi fanno male, quando si definiscono cantastorie.

Attraverso le mie lotte ho ottenuto dei posti di strada dedicati appositamente per i cantastorie a Milano. Vent’anni fa non esisteva la voce “cantastorie” neanche nel ministero dello spettacolo: nel permesso 121 di pubblica sicurezza c’era la voce “cantante ambulante”, non “cantastorie”.
Ed io mi rodevo, per questo.
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PUCK: Ho letto, su uno dei tanti libri tuoi che mi hai regalato, una toccante ballata in siciliano dedicata a Luigi Tenco: "Luigi Tenco a Sanremo".

FRANCO TRINCALE: Ho scritto la ballata quando lui si è suicidato, perché è stato un fatto che ha colpito tutti. L’ho scritta in siciliano e questo è un fatto strano, perché certe cose mi richiamano le origini. La stessa ballata su Falcone, “Il Giudice coraggio”, l’ho scritta in dialetto.
Io credo che in questi casi, quando tocco il dialetto, ci può essere un tocco di poesia nelle mie canzoni. Perché non sempre le mie ballate sono poesia, ma lo diventano quando riesco ad entrare nel profondo dell’animo di quello che sento. Molte mie canzoni invece sono più cronachistiche, cioè cronaca cantata, come se le avessi scritte senza estrarre i fatti dal profondo.

PUCK: E pochi anni dopo la scrittura di questa canzone, nel 1970, risale l’iniziativa di boicottare il Festival di Sanremo con una contestazione artistica e pacifica.

FRANCO TRINCALE: Io ho fatto una protesta a Sanremo. D’accordo con il tizio della Fonola, gli ho proposto di contestare la situazione a San Remo. Gli proposi di farmi pagare dei manifesti a lutto dedicati all’anniversario della morte di Tenco. Li attaccai sui muri la notte prima della manifestazione canora. Poi mi sono messo a cantare in strada, a San Remo, ed è venuta pure la televisione a riprendermi. Pensa che quello stronzo che organizzava il Festival, Ezio Radaelli, mi ha mandato a chiamare e mi ha quasi minacciato. Ma io gli ho fatto un’altra sorpresa: Radaelli organizzava anche il Cantagiro, e lì c’era anche un girone di musica folk.
La persona che mi organizzava gli spettacoli alle feste dell’Unità, che gestiva anche il gruppo dei Camaleonti, propose a Radaelli questa condizione: se tu vuoi i Camaleonti Cantagiro, nel girone folk ci devi mettere Trincale. Lui disse di sì, ma poi si rimangiò la parola. E quindi decidemmo di fargliela pagare.
Stampammo dei volantini, denunciando il fatto che lui prendeva solo gli artisti che avrebbero pagato per esibirsi, ed era un fatto vero perchè se avessi pagato mi avrebbe preso. Tutte queste cose erano scritte nel volantino.
L’organizzatore delle feste dell’Unità mi ha mandato i biglietti di invito per l’anteprima del Festival di Sanremo all’Ariston. Io ci sono andato, mi sono messo in galleria, ho chiamato i giornalisti dell’ANSA e li ho avvisati di una mia operazione di contestazione. Quando è arrivato Radaelli, ho lanciato i volantini in diretta, e fatto un bel casino.

PUCK: Nel nostro ultimo incontro hai parlato della tua necessità di scrivere pezzi intimisti. Puoi parlarci di questo tuo nuovo progetto, e darci qualche anticipazione? Quando sarà pronto?

FRANCO TRINCALE: Ho solo una ballata in cantiere, non un vero e proprio progetto. Io mi sono ritirato. Sono pensionato, e non voglio fare l’ipocrita. Quando mi è stata riconosciuta la Legge Bacchelli, per la prima volta storicamente data a un cantastorie artista di strada, con la specificità per avere coniugato l’arte nobile del cantastorie con le lotte dei movimenti sociali, mi sono ritirato.
Nella realtà è uno stato di bisogno che ho prospettato con una lettera, una richiesta all’allora Presidente Ciampi. Gli ho scritto questa lettera con il cuore in mano, perché la mia pensione e quella di mia moglie non mi garantivano un futuro.
Le istituzioni mi hanno proposto per la legge Bacchelli e fortunatamente, prima che cadesse il governo Prodi, me l’hanno approvata.
Oggi come oggi ho acquisito la mia serenità. Mi concedo giusto la “Fiera degli Oh, bei, Oh, bei”, dove mi esibisco ancora come per dire ai milanesi che il loro cantastorie è ancora lì con loro.
Poi ogni tanto faccio qualche serata. A breve terrò un concerto per delle giornate anti-mafia.
Voglio farti sentire questa ballata che ho ripreso, apposta per l’occasione.

(Franco Trincale imbrccia la chitarra e canta):

…la mafia ammazza chi ci piace e pari
La mafia c’ha potere e capitali
La mafia è un’industria attiva
Che storce i soldi e li sa riciclar
…la mafia è tutta gente di rispetto
La mafia non è più ‘a coppola storta
La mafia cammina in doppio petto
La mafia c’ha le chiavi di ogni porta
La mafia è qua e là, cari signori
Sta nel silenzio in cambio dei favori
La mafia non perde mai la corsa
La mafia è quotata pure in borsa
La mafia c’ha delle intelligenze
La mafia si compra le coscienze
La mafia è incarnata nello stato
Dove l’onesto viene assassinato
La mafia sta dentro gli apparati
Coi loro insospettabili piazzati
La mafia è pure in quel palazzo là
Dove c’è scritto giustizia ci sta!

La mafia è sempre esistita nella situazione dell’entroterra dei feudi e dei feudatari, che se ne servivano come braccio armato. Negli anni dello sbarco degli Alleati, mentre nel nord si lottava con i partigiani, in Sicilia non c’è stata una vera Resistenza: è stata la mafia a preparare il terreno allo sbarco americano, garantito dalla mafia attraverso personaggi che avevano un ruolo ben preciso. Nella realtà poi si aprì una situazione di ristabilimento delle regole, e finita la guerra si espresse un governo antifascista costituito anche dai comunisti. Ma la riforma agraria proposta dal governo, e dai sindacalisti, non era ben voluta dai padroni e dalla mafia. E per questo fu assoldato Salvatore Giuliano.

PUCK: Quando ci siamo conosciuti era in pieno atto una censura nei tuoi confronti organizzata dal sindaco Albertini per farti allontanare dalle strade di Milano, e dal tuo contatto diretto con la gente, a causa delle tue ballate contro Berlusconi.

Ma questo non era il primo caso di censura. Guardando il tuo archivio storico si leggono articoli che parlano di continui scontri con le forze dell’ordine: il caso eclatante fu quando le forze di polizia interruppero il tuo concerto del 1970 ...



FRANCO TRINCALE: Era il Festival Pop Folk di Palermo. Di italiani c’eravamo io, Rosa Balistreri e, stranamente, Little Tony.
Io avevo preparato la ballata sui morti di Avola e quella su Pinelli. Era un festival organizzato da un italoamericano, e c’erano artisti del calibro di Duke Ellington e Aretha Franklin. Io cantavo la canzone de L’Orologio del Dott.Guida”, un questore di Milano, mezzo fascista.
La canzone faceva così:

L'orologio del dottor Guida
s'è fermato a quei tempi là;
lui lo porta sempre al polso,
non lo vuole riparar,
non lo vuole, non lo vuole, non lo vuole riparar.
Le lancette si son fermate
quando cadde l'oppressore:
il fascismo fu abbattuto
ma rimase il buon questore,
ma rimase, ma rimase, ma rimase il buon questore.

Le autorità locali mi interruppero il concerto, e minacciarono di arrestarmi. Alla fine il pubblico insorse e non mi arrestarono. Gli organizzatori, per riparare la situazione, mi convinsero a tornare a fine serata per un abbraccio riparatore con Duke Ellington.

PUCK: Oggi è difficile pensare a una reazione di quella portata: il pubblico è meno partecipe, e gli artisti sembrano meno incazzati rispetto a un tempo…

FRANCO TRINCALE: È una situazione di staticità, ma che non può durare a lungo: il problema del precariato, con il prossimo cambio generazionale, quando i giovani non potranno più campare sulle famiglie, può sfociare anche in sbocchi violenti. E quando c’è la violenza c’è anche l’esasperazione che tiri fuori dall’animo, ed è da lì che nascono le forme d’arte più spontanee...in questo ho fiducia: l’arte che nasce spontanea come un fiore in mezzo alla zozzeria.

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